Categoria: poesia

Liquida pelle che ancora gli scorra

Tace il Solco
in mezzo alla montagna,
ha tanto corso un tempo
nel pieno dell’acqua viva e sgusciante.
La luce del cielo in lui si specchiava,
era assieme di un canto
fra rami penduli e fragili.

Piccole carcasse ora le sue pietre
hanno un silenzio diverso,
agghiacciante.
Ossa paiono,
un bianco lì sparso
che anche l’ombra dimentica
nell’indifferenza dei giorni.

Tutto è compiuto
il suo muto dire
per le orecchie che guardano
l’ardente sete bagnata dal secco.
E glabro scavo di quel che era regno
forse implora la pioggia
un ciuffo di brividi e ulivi …

liquida pelle che ancora gli scorra.

Uomo di pioggia

Uomo di pioggia il Tuo sguardo
seduto accanto al mio pianto.
Poesie … parole … e dolcezza.
Sì, anche tanta dolcezza nei fogli sparsi
che tornano come rombo di motore
per andarsene.

<Mi leggi, ti leggo, parliamo>

Vibra la Voce
dal volto alle spalle
così gracili e forti,
schiava dei sentimenti
si posa nel ricordo della Tua pelle
respirandoti brividi e odore.
Erotica acqua mi scivola addosso
ancora calda di Te
fra nuvole che si rincorrono
a occhi rapiti.

<Ma non basta un sorriso appeso alla bocca
a nascondere tutto il sale che ingoio>

Noi siamo la scelta fatta,
gocce di memoria sparse su quel ponte e su quei passi,
desiderio che non avrà raccolto.
E più s’allontana la scialuppa dei baci
più dico del mio Bisogno di Te
e di quanto vorrei affidarlo alle ali.

Divincolarlo da ciò che non potremo …
… per abbandonarCi.

Dell’Uva che non passa

Buttarsi il cappotto sulle spalle e andare
investiti dal vento
con occhi di rondine
a caccia di pensieri nuovi
finché non cade il primo raggio di sole
sulle dita della notte.

Mutare ancore e delfini
in cumuli di fieno procaci
a capofitto audaci
denudando gli zigomi
nel segreto del fuoco e della legna.

Arrotolarci
moltiplicando le braccia
e dopo
<solo dopo>
scrivere
di Te
di Noi

e dell’Uva che non passa.

Ai confini del Regno

Malinconico guado il tuo pensare.
Armonia silente
di solinga gente appena sparsa.
Pallidi i lampioni dietro le vetrine
stanno per dire basta.
Una strada casta assorbe nuda aria.

Brillano colori ma non sono allegri
oltre il segno vanno tra corpo e anima.
Geometriche visioni e luci fredde
tagliano
il reale accampamento del mistero
della noia anche
l’artificio della scena
l’inquietudine che acchiappa
in questo essere o non essere
desertico
ai confini del Regno.

Una donna siede a letto
volta alla finestra evade sui tetti.
Ha cappellino giallo un’altra
la sua tazza carezza
luci in punto fuga sul suo tavolo
d’ombre.

<Hopper>

tu eri … e sei
non ciò che l’occhio guarda
ma quel che il cuore sente pur con appesa ragione

e ogni Tela tua ne è testimone.

Sull’Isola strana

… e io ti bevevo.

Le brame del cuore sull’Isola strana
fra conifere accese
fiera d’essere femmina
solo per Te.
Mi zampillava la fame di averti
tra quel fuoco plaudente argini lavici.
Meraviglia lo sboccio al gusto dei lampi
i polsi slegati
le radici sicure e i rami abbracciati.

Non l’astratto cercava
ma il desiderio tangibile
carnea conchiglia.
Navigare in orge di acque
la sua coppa d’inebrio,
liquoroso e duttile il tatto,
l’impasto di fine frumento
a nutrire e plasmare la Terra.

E savio fu quel nostro dormirCi
a palpebre spente
schiuse su macchie di luce
quando l’alba era ancora promessa
e il buio una calda coperta che avvolgeva
in un sogno vincente

a svegliarci più vivi e più veri

ciliegie le labbra … bagnate di baci.

Il Breve Canto dell’Alicanto

Macinavano ruote i carri
dis.armati,
la meridiana campava il giorno
guerra e pace
pace e guerra.
Così come oggi l’auto
macinò pelle d’asfalto
con protrusione chilometrica.

A doppia rampa su scala ambulante
una rivoltella s’esalta:
Aureo e Argenteo è il breve canto dell’Alicanto
quando dice della sua buona azione
ai minatori.
Sogno, mito, abbaglio
che spara
santagrazia a profusione
sul lobo giusto
piovendo col sole.

E muore appena sorge
“il Tempio del Dopo”
che al guinzaglio si porta il Prima
senza averLo un Dopo.

Monade

Stanotte
ti ho abbracciato tanto.

Da un fianco
le mie gambe fra le Tue
un cuscino di cuore
sotto la mia guancia
diceva dell’Amore.

Quanto lontano eri e quanto vicino poi
nella stanza fredda d’umidore
chiusa fra spessi muri
con l’inverno fuori che ti entrava dentro

<prima che avvenissi>

E madreperlaceo incanto
fluì
col suo intenso tepore
da entrambi i lati di Noi
sotto lenzuola dall’odor di viola
lisce come dolci carezze
lisce come lacrime di gioia

i Rivi raccogliendo in una Monade.

L’altra guancia d’oriente

Come lava d’aprile
fredda pioggia
chiama
i volti sconvolti dall’Ultima Notte.

Sono i più
sono i tanti dell’anno.

Si sveglia prima l’aurora
fumosa
lagunare
dubbiosa
spalmando bisbigli
sull’acqua puntellata eppure quieta
al vogare lento delle pale
fra crespi di luce e pieghe.

Tu
immaginala ancora fulgente
mentre le cogli l’altra guancia d’oriente.

Appena ingrassa l’onda

Abbandonica ferita
emerge
appena ingrassa l’onda

vira agli scogli
e si sconquassa in stelle rosse

vive di frange morte
che pure hanno il dono del dolore.

Il sole indugiava sul querceto

… dopo accese il fuoco.

Andò alla finestra
ne scostò l’organza:
il sole indugiava sul querceto
dei pensieri
sul bordo ombroso che affiancava i tigli
così presi dai tronchi.

Un cinguettio le solleticò le orecchie
lieve il sorriso apparso come un’ala.
Si spandeva d’intorno
l’aroma della bruna bevanda
a rincuorare il giorno
di novella età.

Tornò in stanza
e sul letto …

vide un’ombra sola.