Categoria: poesia

Nelle Tue mani che si fanno coppe

A liquidi passi ti aspetto.
Ormeggiata nell’avamposto d’un pensiero
ascolto il tuo momento
disegnando la mappa d’ogni neo.

Che vada l’oltre via col vento
e ciò che non ci fu disegno
mentre mi prendi e ogni incavo svergini
dismesso l’arco del Tempo.

Nessuno può saper di Noi
salvo Noi Stessi,
delle curve stese al sole
e di quelle gustate nel cuore della notte.

Vedi come grondo
ora
a fili sciolti

nelle Tue mani che si fanno coppe.

La grazia del Tuo morso

Hanno le Pleiadi
di nudità sentore.

Alcune
agli occhi già dischiuse,
altre
in polluzione segreta
piano si sbottonano a ogni tasto di nota
che alluna la notte.

E pare irreale
Noi ritrovarci
savi di splendore
in questo angolo di Eremo

<umidi e stretti>

colpo a colpo con la fame in corpo
mietere carezze.

Di taurina forza pieno il mio collo,
gonfia le sua vena

la grazia del Tuo morso.

I nuovi campi spinati di Auschwitz

Sparso è il silenzio ovunque posi il polso,
e il suo contare duro …
molle burro al sole.

Fra speranza e paura
rischia la saggia mente
un divenire brullo
nelle sue stesse mura
con la primavera che provoca
e sobbalza ricordi
nell’incredulo sparsa
indifferente e cosmica
per Essere
<ogni malgrado Essere>
come sempre
sui fili stesa a panni luce.

Ma qui l’attesa ha capogiri di dubbi
un ocra desertico la cinge a misura
dentro il debole forte d’ognuno

teme lo spettro spalmato nell’etere muta
i nuovi campi spinati di Auschwitz.

Trono d’Inverno

Troppo lento
è il tocco delle tue dita
sulla mia spiaggia bianca.

Nuvole sporge di cammei accennati
oltre i templi che ebbero valli,
e le pandemie vanno a spettro largo.

Ma Tu dimmelo
a gesso più certo
e poi restati
con quel mazzo di rimpianti sul loro trono d’inverno …

… che il Tempo è uno straccio alla bisogna
e asciuga anche il sale puntato alle tempie.

Mi torni

Ho voglia di sussurri oggi
che carezzino mute presenze.

Sarà una U alla finestra
a dirmi del mondo
stesso
altro
d’ogni altrove …

… a farmi uscire dal midollo
migrare in un senso di pace
vivace
che all’acqua selvaggia
mi torni
dando volto ai miei sensi
in un lampo di fiore
fra il verde
e l’acqua marina a cullarsi
impetuosa e ribelle.

Il loro uguale pensarmi
a rivelarmi il nuovo sboccio dell’Essere.

I° Aprile

Non è scherzo
questo giorno freddo d’aprile.
Piove nel momento
tanto silenzio.

Vuote strade
si specchiano in un cielo scarno.
Eppure i rami degli alberi splendono
e l’erba anche
di note succulente
che non parlano
se non di un canto alle narici immenso.

E Io …
che libri ho letto
visto film tristissimi
vissuto sangue e geroglifici
ora …
che sulla pelle vivo
un invisibile nemico
temo persino il mio respiro.

Fra spiragli di momenti

Nuvola il fiato
oltre comignoli e tetti,
sperso fra i gabbiani
sparsi nell’indifferenza del cielo.

<Aggomitolo rimembranze>

Le dono una ad una
alla luna che stanca di vegliare
lenta si smaglia sparendo.
Il sole non scorgo
ma so che c’é
da qualche parte s’alza e sbadiglia.
Anche se la strada serpeggia desertica
e solo un cane porta a spasso
una formica a due gambe
il mio ponte ha sempre il suo posteggio sull’acqua.

Come Tu ci sei
e mai fosti così vicino.
Hai battagliato lame e tempi
per avermi
e seppure fra spiragli di momenti

con la Tua voce a medicarmi
cuore e pensiero.

Bohémien

Quella morbida borsa somigliante a un paltò.
Sensazione che vola su velluto bordeaux
punti fini , ricami precisi
che dentro hanno l’anima in legno.

Era moda d’allora, favola nuova
tramante ai bistrot.

Le dita fumavano risa
il caffè caldo alle bocche
gli sguardi ammiccanti in segreta visione

si declamava il Copione.
Con voce impostata al diaphragme
la E chiusa s’apriva.

In cerchio la giovane vita
respirava un passo lunghissimo.
Aveva tendoni di palchi, la piena dei sogni
platee che battevano mani.

Il cielo faceva altrettanto, o così si credeva
nelle piccole ore di magiche sere
rampanti.

Ricordi d’antiche osterie

Imbraccio il silenzio per sparare ai pensieri.

Una sull’altro dame passano
qualunque direzione è indifferente
recitano il ruolo del salto.
Che vadano lì sul tavolo a ingannare il tempo
tanto i passi nella stanza sono saturi.

E loro non li ho uccisi perché non posso ucciderli!

Feriti si rialzano
guardandosi spalle e viscere
ricordi d’antiche osterie
e qualche speranza rimasta nelle tasche raggrinzite
a provare che sono esistita.

La colpa della fame

Disperato
abbaio echeggiò quella mattina
non avevano forza le braccia appena alzate
temevano l’avanzata del giorno
e la battaglia delle solite cose.

Lo immaginava:
uno dei tanti cani abbandonati
nelle contrade salate dalle miserie umane.
Solo
che s’aggirava
con addosso la colpa della fame
su di lui versata
da chi ama odiare se stesso negli altri.

Andavano le ore sorgenti
in quell’alba chiara uguali
con le uguali onde di sempre
da monotonia accese e dalla noia
dentro una madia.

Si passò allo specchio la valenza del volto
l’invadenza dei solchi
così solleciti sulla buccia pallida
domandandosi se veramente il pensiero contasse
più della veste indossata in questa terra carnale.

Le rispose un mugolio al di là della finestra …
che le sue ossa passeggiava in strada.