Categoria: poesia

Essenza

Devo dirmi
scrivere
raccontarmi.

Trovare spazio nella primavera
più strana dei miei anni.
Così che mi vesto di pensiero e sguardo
accoppiandoli con ieri
e vado
e vago
mistura di sagoma e fantasma
dalle piazze vuote
alla natura gravida …

… a giocare assieme con parole
tra anemoni e limoni
e il verde tanto
divenendo rampicante
su glicini viola
ape che si lavora il fiore.

Ma quel che più
s’attesta nella raminga testa
e su tutto emerge
e resiste ad ogni guizzo d’acqua …

… è il profumo della Nostra Essenza
che non trasmigra mai dai corpi
e in questa Terra resta
inesorabile.

A Santo & Johnny

Entro:

la sala è ancora lì.
Il profumo di bucato
di mia madre che lava
con le sue mani arrossate
.anche.

Ma è estate!
E il sole del mattino alto,
brillante gioiello infuocato.

C’è Santo e Johnny che suonano per me,
il secondo arpeggio mi ha chiamata
al ricordo di quell’istante
vestito d’immortalità.

Tra poco saremo uscite
a braccetto
con passi leggiadri …

fra i labirinti della mia città.

Coi Tuoi occhi

Cosa vorrei dirti

in questo momento di un giorno finito
così
da sdraiata
fra fiaccole d’ombre
a raccontarmi senza lume di parola
di Te
di Noi
dei segreti capovolti
dal Nostro silenziato Sole …

… ora che mi percorri
sotto un cielo di stelle
senza sbocchi
i sentieri focosi dei boschi
l’ambra lasciata
nei cerchi dei tronchi
e un sorso di rugiada è mancia di pane …

… se non di quanto bisogno
io abbia di questa penna …

… del bianco Volto dove scorre
che pare guardarmi coi Tuoi occhi.

L’Ostessa

Travasava il vino
gorgogliante
un attimo o poco più nel vetro.
Poi passava ad altri e ad altre
promesse di vendemmie.

La botte in basso
stava come l’Ostessa alla sua attesa
calda la bettola e l’altra al fresco:

Tra poco ci sarà quello nuovo
tu stessa hai un viso nuovo.

Diceva e si diceva
sapendo del mio sguardo
dal ciglio della porta.

E forse era vero
perché spiccava arancio
la finestra accesa
riflesso sulla mia chioma nera
riflesso sul tempo delle mele

tonde
di un sole tutto da spremere.

Foglio

Cosa mi vuoi dire –Foglio-
dallo sguardo bianco … se non scrivimi?

E raccontami di Te
del tuo sentire.
Di questo giorno che da ieri nasce e forse
porterà al domani.
Io ti sono amico -non lontano-
bisogno ho di assorbirti
quanto tu d’essere assorbita.

O son le guance del respiro
a schiudere lo sterno al mio parlarmi.
Troppe le speranze distillate
col Me che si rintana sotto una veste friabile
e ogni tanto sorge in un sorriso …

liberando i miei occhi di bambina.

Le Parole

Devi averle dentro
sangue del Tuo sangue
le Parole
quando mi pensi.
La bocca osa poco in certi casi,
arrossisce sulle labbra o si fa sfuggire
in un lampo ciò che non dovrebbe.

Un mantice di cuoio sa
come liberare l’Anima
se il suo cuore ormeggia dentro una scialuppa
che vuole salpare.
Blanda
a contenerla
far sì che plani su bianche distese di carta
e lì rimanga
a ricordarci dei Nostri momenti.

Ciglia aghiformi più non morderanno
quando ombelicali e disciolti
ci rileggeremo.

Lievi e più chiare saranno le cose sfumate
mentre saliremo i gradini del cielo solo per scenderli
e l’ultimo dei sogni ci verrà a prendere.

E il Cielo sposa la sua Terra

Era riapparsa l’ombra
lunga
all’impiedi.

La vide impallidire oltre la piazza
prima di un pensiero
fino a sparire:
il sole se n’era andato dietro a una nuvola scura.
Ora era sola,
poteva morire dalla noia.

Qualche fiammata rossa e gialla
s’accese fra gli spogli alberi,
si vestiva canticchiando una canzone.
Una di quelle tramandate
a lignaggio matrilineare
che in ogni donna lascia una ragazza
assieme a un uomo da rimpiangere o da odiare

per farci vivi
morti
o tutto insieme
quando si vangano i momenti
e il Cielo sposa la sua Terra
in riva al mare.

Con poche vocali e qualche consonante

Veniva da due finestre spalancate
sul volto del suo primo piano,
da nuova guerra repentina
figlia di quella usata.

Lo sguardo scivolò sul legno d’una scritta
con poche vocali e qualche consonante,
sul battente senza una maniglia

<insieme a dirle entra e impara>

La viuzza da un lato le saliva
l’ombra s’allungava sull’imbocco in trasversale.
Tutto lì lambiva
quasi sfiorava le coste dell’anima.

<>

Voleva ancora sorridere,
riacchiappare uno dei treni andati,
l’attimo senza più farlo fuggire
in una battuta all’incanto,
e il pieno delle immagini che via via
fiorivano in tasca

i canini affratellando al pane.

Una tela in cielo

Scivolare luce dentro il suono
in chimica reazione
è un po’ come spacciare sottobanco impreciso teorema
che dice corpo a un’anfora
cruna alla gobba di un cammello.

Sette furono le vacche magre e grasse
e pur sempre vacche
che fuggirono spettinando campi prima di bruciarli
quando locomotive ancora parlavano di viaggi
mitici su poggi passanti.
E Io lì ad ascoltare con la saliva andata
pensando a quel piccolo cucchiaio
abbandonato su una tovaglia bianca
col cuore tra le gambe.

Le spalle sempre sanno dell’errore alto
perché solo dopo piegate si ragionano
disperando il soffio acre costretto in un cassetto
mentre fuori irrompe lo spettro del deserto.

E sarà vocalizzo allora la veste dei ricordi
dall’organino colta nel giro della ruota

Anima strappata da inchiodare in cielo
tela vera con la mia firma in calce.

R e g i a

Solo
con i passi in gola
te ne vai per la via
eco su eco è la raccolta del sidro

<inquadratura buona alla prima>

Sagoma scura intabarrata
con cappello e cappotto
e una sciarpa bianca a benedirti
fuori d ‘assenzio

Hai le spalle un po’ chine
fa freddo, fuori e dentro.
Non bastano i lampioni
al salto termico.
Fiochi di lampi, loro non pensano

<l’inquadratura s’alza e s’allarga>

Fila su un cielo impietoso di stelle
la malinconia è grande nella sera che s’inoltra alle tenebre.
Senza nessuno accanto
inficia la forza d’andare
e azzera il Dove

<l’inquadratura nuovamente scende>

D’un tratto passa e fugge un gatto,
il suo miagolio ti lascia in segno la vita.

Sei sorpreso, lo vedo da un gesto

<è finita>