Autore: Maria Pia

Lo scettro

Non credere io non possa
curarti
è che mi manca il tempo
e ora anche la voglia
in questo cosmo immenso
chiusa
tra la maggiore orsa
e la minore
<>

E poi quel tuo viaggiare
solo con la testa
su ali di sembianze
ti rende cieco il volto
senza bocca le mani …
… l’orecchio sospeso
nella muta a caccia
in aria screziata
di odoroso muschio
lontano anni luce.
<>

Della lingua
ti dico che ha altre note
all’arco del suo nuoto …
… prima che lo scettro entri
tra le cosce tutto.

D’ombre e d’amore

<Fu>

ed è sbocciato ancora
quel mesto fiore di dicembre
a caso nello stesso giorno.
Muti dinosauri attoniti
i miei vichi d’ombre e d’amore.

Ti piallerà quei venerdì sonori
e solo tuoi t’apparterranno ora.
Guardalo il nostro filo
come puro se ne vola …

… con un palloncino viola.

Dalla Tua alla Mia gola

Morsicare melagrana
globulo per globulo,
rosso trasparente,
succo che cola,
dolcezza
dalla Tua alla Mia gola.

A palpebre frementi
nell’inverno dormiente
che in nudi rami
possiede i nostri germogli.

Le panchine …

… sono ferme barche
nelle grandi piazze
nei canali delle piccole strade.

Stanchi marinai le viaggiano di tanto in tanto
alcuni dormono, altri vanno lontano.
un ristoro lampo
dai passi,
e sguardi persi nel niente.

Lì il cammino per un poco tace
prende fiato sopra all’essenziale
ai capelli bianchi
a quelli che la fune
a ogni stagione attracca.

Niente guasta quando sgorga il pensiero assieme ai sogni
che di speranze scalda anche il freddo mare.

Io e Me

Vedi
non è facile parlarsi
tranquillamente.
Ma veniamo
da un tempo lontano,
quando le farfalle fluttuavano fra i seni
e le sere affusolate garrivano di lucciole
smaglianti
sboccianti nell’estate.

Allora
il freddo era come il pane:
guance coloriva di giovinezza,
mele d’inverno dalla polpa bianca,
salite ardite svolte in corsa,
e il fiato che volava caldo
per divenire cielo
e cantare
c’è un grande prato verde …

Ricordi?
Ci ricompensava dopo un cono
di candida panna con tanta cannella
in vetta …

… dove sprofondare col cuore la bocca.

L’ARANCIA

Le porse un’arancia,
piccolo sole caldo
fra legna scoppiettante
improvvisata.
L’aroma
l’incanto
alto dal suo muto loquace.
Aveva tracce di terra
il palmo.

Non era elemosinare, ma dignità alla vita,
la forza della fame non sottomessa.
Nella vecchia via che sgorgava alla piazza
la gente pullulava sparse formiche,
ogni tanto si fermava a chiacchierarsi

e lì fremeva
Lei che aveva voglia di andare …
verso il canto delle viole e dei gigli

in pieno gelo.

Rapita dal Tempo

Scivolare mi lascio
da moria di clorofilla,
dai giorni che piovono
malinconie.
Poi i tuoi passi guardo
riflessi in occhi d’acqua,
e m’accendo:
è venuto il Cielo
in stato di grazia su questa Terra.

E caldo coccolo il pensiero
senza più nulla temere.
Rosa d’autunno rapita dal tempo
pronta al passaggio,
che si commuove
per quel passero sul ramo fragile,
per la tenacia del suo canto.
L’equilibrio delle ali
leggiadro a dispiegarsi.

Tra poco sarà aria di neve …
… ma il suo volo sarà oltre la siepe.

Bella di carezze

Luce novella sulla prima alba,
sa ancora della notte andata.
il Tuo nome sussurra
in eco.
E afferrarlo vorrei per gridarlo
alto, ampio,
senza più timori né scene
anche alla rosa dei venti .
Rossa, nella stanza che mi tiene
a sforare ogni lobo vivente.

Ché innominata preda del silenzio
Io mi sento
nel trasparirmi languida.
La guancia volta a pensieri audaci
al largo del mio mare luccicante
dove scivolo calda
col sale fremente sulle labbra
sui miei seni candidi.
Un tulle di madreperle a fasciarmi
fra stelle di vele ampie.

Così, priva di domande,
mi arrembo esausta.
Morbida all’affiorata spiaggia,
bella di carezze, celeste d’acqua …

… nel raggio che fiorisce
e unisce il polso Tuo al Mio
in questo sempre troppo breve.

Il lasso di un istante

Ti dissi
ti scrissi
e Tu uguale.

L’abbraccio delle mani
umide di Noi,
la speranza sulle strade
in ogni ciottolo a guardarci…

… e la lanterna magica
con la sua luce fluttuante
che a me ti riportava
per il lasso di un istante …

a bocca e baci
con la mente incagliata.

E rinasco dal mio ventre

Non scrivo più poesie,
se mai ne avessi scritte.

In sonnolento fianco
tensione è rilascio,
diaframma che spande
voce splendida.

Fra tenebrosa luce
mondi m’appaiono
dal nulla e dal passato:
hanno vesti, volti, passi.
Tornano senza essere andati.

Rifugia lampo silente
tuono a gioco buono.
Residuate forze ritempro
nel corpo di una veste verde,
lirica danza fluente.

E rinasco …
… dal mio ventre