Categoria: poesia

Rapita dal Tempo

Scivolare mi lascio
da moria di clorofilla,
dai giorni che piovono
malinconie.
Poi i tuoi passi guardo
riflessi in occhi d’acqua,
e m’accendo:
è venuto il Cielo
in stato di grazia su questa Terra.

E caldo coccolo il pensiero
senza più nulla temere.
Rosa d’autunno rapita dal tempo
pronta al passaggio,
che si commuove
per quel passero sul ramo fragile,
per la tenacia del suo canto.
L’equilibrio delle ali
leggiadro a dispiegarsi.

Tra poco sarà aria di neve …
… ma il suo volo sarà oltre la siepe.

Bella di carezze

Luce novella sulla prima alba,
sa ancora della notte andata.
il Tuo nome sussurra
in eco.
E afferrarlo vorrei per gridarlo
alto, ampio,
senza più timori né scene
anche alla rosa dei venti .
Rossa, nella stanza che mi tiene
a sforare ogni lobo vivente.

Ché innominata preda del silenzio
Io mi sento
nel trasparirmi languida.
La guancia volta a pensieri audaci
al largo del mio mare luccicante
dove scivolo calda
col sale fremente sulle labbra
sui miei seni candidi.
Un tulle di madreperle a fasciarmi
fra stelle di vele ampie.

Così, priva di domande,
mi arrembo esausta.
Morbida all’affiorata spiaggia,
bella di carezze, celeste d’acqua …

… nel raggio che fiorisce
e unisce il polso Tuo al Mio
in questo sempre troppo breve.

Il lasso di un istante

Ti dissi
ti scrissi
e Tu uguale.

L’abbraccio delle mani
umide di Noi,
la speranza sulle strade
in ogni ciottolo a guardarci…

… e la lanterna magica
con la sua luce fluttuante
che a me ti riportava
per il lasso di un istante …

a bocca e baci
con la mente incagliata.

E rinasco dal mio ventre

Non scrivo più poesie,
se mai ne avessi scritte.

In sonnolento fianco
tensione è rilascio,
diaframma che spande
voce splendida.

Fra tenebrosa luce
mondi m’appaiono
dal nulla e dal passato:
hanno vesti, volti, passi.
Tornano senza essere andati.

Rifugia lampo silente
tuono a gioco buono.
Residuate forze ritempro
nel corpo di una veste verde,
lirica danza fluente.

E rinasco …
… dal mio ventre

LA STAGIONE BATTE IL SUO TRAGUARDO

Si va.
L’inerzia sorregge i passi
caduchi
stanchi .
Pantofole e sbadigli
al casto luccichio che s’alza
e filtra dagli occhi
di guardia

<fuori piove>

Velo trasparente
pare senza causa,
sui comignoli
quasi manca il vento
al fumo lento.
La stagione batte
il suo traguardo
con apparenza lieve
ma tenace
verso l’inverno.

Non mancherebbe la voglia di restare
tra la coltre calda …

… se un dove fosse per scaldarmi

Lei & Lui

<Lei>

Se telefonando … e rotula
sfiorò l’impasse.
Stava la sera con l’acquolina
in bocca e il lume a cera persa,
spenta nella cena accesa
dall’alto del più basso.
E stavi tu dono d’oltretomba
tra sipari da caffè e l’illusoria vita
d’una fine buona.

<Lui>

Chiamami … tutte le volte
che vuoi, e ti richiamo
a lesta spunta d’attimi con il fiato in gola.
Ci sia o non ci sia l’assaggio
abbeveriamo voci,
appelliamoci al senso della cenere,
al limbo delle anime incomplete,
alla chiusa dei cancelli
che mi staccarono dal monte.

Ma la memoria lascia oltre …
le stazioni che ebbero rotaie vuote
il fuggire dei vagoni assieme ai Nostri giorni.

Nel Mondo del Mio Mondo

A silenziati passi fra fruscii vado,
su intarsio vellutato
cauta col respiro bianco.
Il melanconico svanire guardo,
la gioia della morte.
Legno buono cerco a far scintille
per fermarmi coccolata dal calore
sotto un ponte che luogo dia
alle memorie.

Accoglie questo bosco il mio riparo
vivo d’ogni albero che dorme
unita la ragione al cuore
gli sbuffi infanti alla furia alta.
E il selvaggio verde mi ritorna
in tanti fazzoletti maculati,
a quando dal cemento aveva scampo.
A un pomodoro cresciuto grazie al vento
che ebbe la valenza d’un tesoro.

Ed entro nel Mondo del Mio Mondo
dove gli antichi corpi muovono
e più non tremano le loro storie.
Dove tra tutti s’ erge …
… l’eterna essenza del Suo volto.

Palmo di neve

Sgorga dai ghiacciai della memoria
palmo di neve,
vista aveva e sfioro di cielo
quando era altra cosa

[ L’incanto di Turner ai suoi piedi
regnava oltre il senso dei tempi,
le note degli antichi poeti
i mari e l’orchestre in fulgore e silenzio
profumo e sapore nei pori senzienti
la ribellione dei vortici affamati di sete
le notti folli d’amore
gli incendiati tramonti
il brillio tra le tenebre a concedere tregua
un filo a colare speranze.
e la morte che sempre resuscitava occhi di farfalla
nella calotta d’ossa piena d’Universo
con Noi eterni a contenerci ]
.
Palmo di neve
che valanga non divenne
che un Raggio distratto evaporò e disperse.

… ma il mio sapore , ti prego, lascia alla sua bocca

Lasciami
andare Pensiero,
che Io possa scorrere
in silenzio
sul rivo più nascosto
d’una lacrima,
fra le dune dei monti
prima d’esser mare e cielo.

Lasciami
a un appena sfuggito alla luce,
toglimi i ricordi
senza l’appello dello sfioro.
che l’aria sia un canto di ali
e Io una piccola storia
ai flutti pronta dell’ultimo gorgo …

… ma il mio sapore , ti prego, lascia alla sua bocca.

E i roghi … avvampano di fiele

Quel punto all’orizzonte
incauto e rubato,
reduce torna da rinverdite pagine:
è l’ossessione della sete a comando,
lo sfoglio di memorie antiche
che dalle mie onde prende
e morde acqua

<>
Scene perse senza mai trovare,
che non lasciano sculture
né gingilli in canterani.
ma tracciati erosi ed erba finta,
l’illusione albina d’una luna piena
che mai ha avuto un posto
a tavola …
… mani sono , dannate mani,
di colorato pongo a farsi regno.
fobica esigenza d’inventarsi
tra eunuchi uccelli saziafame,
in verità abissi ciechi dove relitti
tacciono dorsi d’alberi
spezzati
<>

E si spiaggia l’Es senza equo attracco,
l’incarnito nocciolo nella trachea si spacca
solo per riformarsi in pesce putrefatto.
carità chiesta a cadetto palmo
da un ventre cavo dall’utero in calo,
l’urlo spannato in faccia alla caverna
ad affossare il suo mandato.

Lì, dove il tramonto è anemico per sempre
e i roghi ogni notte avvampano di fiele.